La malattia di Parkinson è una malattia neurodegenerativa cronica progressiva (morte di cellule nervose). Le caratteristiche principali della malattia sono i problemi alla mobilità del corpo (sintomi motori), che si manifestano sotto forma di rallentamento dei movimenti (bradicinesia), rigidità muscolare (rigor) ed eventualmente tremori. Molto di frequente si osservano però anche sintomi non-motori.
La sindrome di Parkinson (malattia di Parkinson) è una delle malattie neurodegenerative più frequenti. Nel mondo ci sono circa 10 milioni di parkinsoniani. In Svizzera vivono oltre 15 000. Si prevede una forte crescita nei prossimi anni. La maggior parte dei parkinsoniani ha più di 60 anni al momento della diagnosi. Gli uomini sono un po' più colpiti delle donne.
In casi rari (meno del 10%), il Parkinson ha carattere ereditario.
L’aspettativa di vita delle persone colpite dalla malattia di Parkinson è praticamente uguale a quella delle persone sane.
Il Parkinson è una patologia neurodegenerativa che provoca la morte progressiva di neuroni deputati alla produzione del neurotrasmettitore dopamina nel cervello (sostanza nera). La conseguente carenza di dopamina provoca vari disturbi della motricità che possono essere trattati con successo mediante la somministrazione di levodopa (L-dopa), il precursore della dopamina. Già negli stadi iniziali della malattia, anche in altre regioni cerebrali si verifica la morte di neuroni che non hanno però nulla a che vedere con la produzione di dopamina. Ciò è all’origine di una serie di sintomi (ad es. turbe vegetative, dolori, disturbi del sonno, sintomi psichiatrici), che con l’avanzare del tempo diventano sempre più gravosi per i parkinsoniani.
Il quadro sintomatico del Parkinson varia molto da persona a persona. Inoltre la malattia non progredisce alla stessa velocità in tutti i malati. Di conseguenza, ognuno ha il «suo» Parkinson, con sintomi che possono differire sensibilmente per tipo e intensità.
Col passare del tempo, diventa sempre più difficile compiere movimenti fluidi. Ciò riguarda soprattutto i movimenti automatici, come camminare o inghiottire – che le persone sane eseguono senza pensarci – ma interessano anche la motricità fine (chiudere bottoni, usare il telefonino) e la mimica. L’acinesia peggiora di pari passo con il progredire della malattia.
Il tono muscolare è costantemente aumentato. I parkinsoniani hanno la sensazione che i loro arti siano «come paralizzati». Anche la postura curva è espressione dell’accresciuta rigidità muscolare.
Di regola, all’inizio il tremore a riposo – che si manifesta in circa due terzi dei malati – è unilaterale. Solitamente esso colpisce più le braccia che le gambe. Il tremore scompare temporaneamente quando si compiono movimenti mirati.
Nell’essere umano, l’equilibrio è reso possibile da un complesso sistema di regolazione nel quale svolgono un ruolo essenziale i riflessi automatici detti statici e posturali. Nel Parkinson, le turbe dell’equilibrio compaiono soprattutto negli stadi avanzati della malattia. Una conseguenza pericolosa è rappresentata dalle cadute.
Altri sintomi frequenti della malattia di Parkinson - non motorici - sono i problemi neuropsichiatrici (ad es. depressioni o paura), i problemi vegetativi-autonomi (ad es. la regolazione della pressione sanguigna, la digestione, la funzione della vescica e la regolazione della temperatura), le alterazioni del ritmo sonno/veglia e i problemi sensoriali (ad es. senso dell'olfatto, dolori). A uno stadio avanzato della malattia non sono rare le alterazioni della prestazione cognitiva.
Di regola il Parkinson inizia in maniera subdola e con sintomi individuali non sempre chiaramente differenziabili. Fra i sintomi precoci tipici di questa malattia rientrano il tremore di una mano, i crampi ricorrenti in singoli arti, la tensione cronica nella zona del collo e della nuca, una sensazione diffusa di stanchezza e astenia, la stitichezza tenace e i disturbi dell’olfatto, ma anche i disturbi della deambulazione o la depressione.
Poiché la degenerazione cellulare nella sostanza nera prosegue senza sosta, anche i sintomi continuano ad aumentare. Mentre si cammina, i passi si fanno sempre più corti. Le attività connesse alla motricità fine (pulire i denti, chiudere i bottoni, scrivere, fare lavori manuali) diventano sempre più difficoltose, la voce diviene spesso più fioca e la pronuncia indistinta, la mimica si riduce e il corpo può piegarsi leggermente in avanti.
È importante sapere che la progressione della malattia – e quindi anche del quadro sintomatico – è molto individuale. Il decorso e la gravità del Parkinson variano notevolmente da una persona all’altra.
Nei primi due-cinque anni della malattia – la cosiddetta fase della «luna di miele» – la terapia farmacologica è semplice e funziona bene, tant’è vero che la maggior parte dei parkinsoniani conduce una vita pressoché normale. In questo stadio della malattia l’effetto dei farmaci rimane stabile per tutta la giornata, e le variazioni dell’efficacia sono scarse o addirittura nulle.
Sebbene questa malattia sia stata descritta per la prima volta già nel 1817 dal medico inglese James Parkinson, e benché da allora la ricerca intraprenda grandi sforzi per chiarirne l‘origine, le cause esatte del Parkinson restano sconosciute. Si ipotizza un’interazione tra predisposizione genetica e influssi ambientali. Finora non è stato possibile identificare un singolo fattore quale unica causa della patologia. Si possono alleviare i sintomi, certo, però non è possibile frenare – o addirittura arrestare – la progressione della malattia.
La malattia di Parkinson esordisce quasi sempre con disturbi dello stato clinico generale. I sintomi iniziali non sono caratteristici, e si precisano soltanto gradualmente. In questa fase, la persona di riferimento è il medico di famiglia.
Importante: osservi tutti i cambiamenti e i sintomi per un certo periodo e li annoti in una sorta di diario, che poi mostrerà al suo medico. Egli ha bisogno della massima quantità possibile di informazioni. Prima viene formulata la diagnosi, meglio è.
La diagnosi di sindrome di Parkinson idiopatica è primariamente clinica: in altre parole, si basa sulla cronologia dei sintomi e sulla visita neurologica. Esami supplementari quali la RMI del cranio, la SPECT del cervello, il DaT-Scan e gli ultrasuoni servono a supportare la diagnosi.
Ai fini della diagnosi clinica è necessario dimostrare la presenza della bradicinesia e di almeno un sintomo supplementare quale il tremore o la rigidità. La risposta alla L-dopa è un importante criterio diagnostico aggiuntivo.
Quasi quattro diagnosi di Parkinson su cinque riguardano la sindrome di Parkinson idiopatica (o malattia di Parkinson). Essendo molto più rari, i parkinsonismi atipici sono meno noti.
Oltre alla forma più conosciuta, ovvero la malattia di Parkinson (o sindrome di Parkinson idiopatica, SPI) esistono diversi cosiddetti parkinsonismi atipici. La differenziazione è difficile. Si distingue tra:
L’unico modo affidabile per diagnosticare con sicurezza un parkinsonismo atipico (PA) risiede nella diagnosi patologica mediante esame del tessuto cerebrale (biopsia o autopsia), che non può essere effettuata sul paziente vivo. Oggigiorno la diagnosi si fonda perciò solo su criteri clinici, con una quota d’errore che può raggiungere il 30%. L’incertezza che permea la formulazione di una diagnosi è evidenziata anche dal fatto che nel caso di vari parkinsonismi atipici per uno stesso sintomo esistono diverse liste di criteri. Altrettanto rivelatore è che i criteri diagnostici clinici (DCB, PSP) sono sottoposti a frequenti revisioni. Finora questi criteri non sono mai stati sottoposti a una validazione prospettica, né confermati dal profilo clinico-patologico per ciascun PA. Alcuni studi degli scorsi anni hanno inoltre evidenziato un ampliamento del possibile spettro di sintomi e reperti, il che rende ancora più complessa la diagnosi precoce di tutti i PA.
La differenziazione tra i singoli parkinsonismi atipici e rispetto alla sindrome di Parkinson idiopatica (SPI) sarebbe importante proprio nelle fasi iniziali della malattia, ai fini sia della prognosi, sia di una terapia corretta o adeguata. Una diagnosi precoce e inequivocabile sarebbe altresì molto auspicabile per ragioni scientifiche, come la ricerca delle cause o la messa a punto di nuove possibilità terapeutiche. Nonostante decenni di studi, le cause e i meccanismi patologici della sindrome di Parkinson idiopatica sono infatti tuttora ignoti. Di conseguenza, anche le possibilità terapeutiche sono molto limitate.
I metodi diagnostici per immagini (RMI) e le procedure diagnostiche di laboratorio disponibili attualmente non contribuiscono molto a una diagnosi precoce e sicura. La ricerca si indirizza pertanto verso l’individuazione di biomarcatori (valori che sono specifici di un determinato parkinsonismo atipico), utilizzati ad esempio nelle analisi genetiche e nell’ambito di speciali procedure di laboratorio finalizzate allo studio del siero e del liquor, come pure di particolari procedure di imaging funzionale.
Sono passati due secoli da quando James Parkinson (1755-1824) pubblicò il libro An Essay on the Shaking Palsy (1817), in cui descrisse i sintomi di quella che poi fu chiamata malattia di Parkinson. Il tremore, l’acinesia (disturbo motorio) e l’instabilità posturale, che provocano frequenti cadute, erano già state menzionate nella letteratura, ma James Parkinson fu il primo a ricondurre tutte queste manifestazioni a un unico quadro clinico.
Il Parkinson è stato descritto per la prima volta nel 1817 dal medico inglese James Parkinson. Da allora la ricerca scientifica cerca di capire le cause della malattia, ma ancora oggi, nella maggior parte dei casi esse rimangono ignote.
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